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Non scrivo da una vita ma si sa, se vivi non scrivi, o perlomeno scrivi di meno.

E questo, come già annunciato, è un periodo di stravolgimenti, di sorprese, di cose divertenti come l’uscita del libro con me sulla copertina, di cose che danno soddisfazione come l’uscita della mia traduzione, di cose rivoluzionarie come l’aver cominciato il lavoro nuovo.

Come al solito del lavoro non parlo granché, ma mi posso soffermare sui dettagli delle trasferte mattutine, dei treni dei pendolari pieni così di gente che quando fermano a tiburtina riversano sul marciapiede un numero tale di persone che non sai dove li avesse stipati, che ti sembra una di quelle gag in cui da un armadio comincia ad uscire una folla interminabile e poi l’osservatore si affaccia dentro perplesso chiedendosi come fosse possibile.

Il cielo è azzurro da due giorni e io ne vedo un pezzo da una grande finestra, e anche un pino, e un paio di piante in vaso su cui saltellano gli uccellini, che di tanto in tanto ingannati dal vetro ci danno una testatina.

Mi sveglio prestissimo e finora non mi pesa tanto, mi sveglio che il sole non è ancora uscito e esco di casa insieme a lui che esce dall’orizzonte, nelle cuffie Platinette invece di Linus e Nicola, sui mezzi sbadigli, stiracchiate, facce stropicciate, sciarpe fino ai denti.

Ho sognato di viaggiare per strada con il materasso, io da distesa lo guidavo come fosse una macchina, orientandolo, prendendo le curve, tirandolo a mano su per i dossi.

Al di là del Po le cose non vanno altrettanto bene per lui, e io cerco di trasmettere il buono che sta succedendo a me per tamponare il brutto che accade a lui. Questo weekend vado a dargli una razione di good vibrations.

Sono tranquilla, osservo, mi guardo intorno. Penso agli ex colleghi con sommo rimpianto ma ho le porte aperte per familiarizzare con i nuovi.

E comunque Gogol somigliava a Vladimir Luxuria.